sabato 13 maggio 2017

Il Garage Indiano_1 La Partenza


L’aeroporto si riempie lentamente. Ascolto la radio, tanto per essere lontano da questo fare internazionale nel quale sarò per il prossimo mese e qualcosa. Mi aspettano, per quello che posso pronosticare, riunioni in giacca e cravatta, l’emozione di condividere un pezzo di pane con un poveraccio, un caldo che non ho mai sentito, 30 gradi di notte e fino a 46 di giorno, camminate infinite e corse in risciò, contemplazione di panorami fantastici e giornate davanti al pc. Ascolto la radio ormai da un’ora, l’aeroporto di Firenze, Peretola, era quasi vuoto quando sono arrivato. Dovrei trovare un paio di regali per Imran e Ram, che troverò a Jodhpur. Ma chiaramente se li comprassi qua costerebbero molto di più. Non so bene cosa intendano per “Tax Free”. O meglio, so bene che vuol dire “senza tasse” o “non tassato”, ma francamente non capisco come facciano le cose a costare veramente molto di più qua in aeroporto. E per questo procrastinerò di un volo. Avevo visto, passando attraverso il duty free un profumo. Paco Rabanne (si scrive così?). Offerta a 19 euro. Stavo per prenderlo. Poi mi sono detto:
-ma stai scherzando?
-in fondo se lo regalo a Ram, che aveva chiesto una cosa del genere non si rende conto che non è italiano.
-ma dai, cioè, 19 euro. Te lo compreresti mai per te?
Ho desistito.
Ieri Niccolò, mio cugino, mi ha mandato un video su Peretola: un video musicale abbastanza insignificante, ma a tratti simpatico. Soprattutto mi sono reso conto che con “etola” fa rima soltanto Bietola. O quasi.
Ecco che la mia mente torna a vagare, per non pensare che tra una mezz’ora avrò l’imbarco, un paio d’ore e arrivo a Francoforte. Vedo già diversi ragazzi indiani. Probabilmente farò tutto il viaggio con loro. Il programmato è Peretola, Francoforte, Delhi, Jodhpur. Per i primi tre non ci sono ormai problemi ad identificarli nel mondo. Ma Jodhpur? Ecco, piccolissimo aeroporto, forse più piccolo di quello di Zanzibar. Me lo ricordo, quello tanzanico. Non so bene se è tanzanico o tanzanese. Ma tanzanese sembra uno degli elementi della tavola periodica. Mi scrive Andrea, il fratello di Irene. Non ce l’abbiamo fatta a vederci negli scorsi giorni. Gentile. Probabilmente ha capito che per me è sempre uno stress partire.
Dicevo l’aeroporto adesso è quasi pieno. Il terminal perlomeno, dove sono io. Il Gate è il numero 6. Americani e australiani accanto a me. O almeno ne hanno tutto l’aspetto. Quelle canottiere bianche, quegli sguardi spenti di chi non ha un problema nella vita, anche se spesso non è così. È diciamo un tratto somatico. Non so se per necessità (ora che guardo meglio non mi pare) si siano messi accanto alla colonnina di ricarica delle batterie. Sicuramente è il punto d’adescamento più funzionale per loro. Quando si presenta un signore con il computer non si spostano, allungano il cappello sulla fronte, sdraiano le gambe e fingono di dormire. Una bella ragazza invece viene accolta a sedere al posto di uno di loro. Adesso è circondata. Ma sembra che la cosa le piaccia. Non mi muovo. Ho un po’ di fame, ma si torna al discorso di prima, 5 euro un panino. Evitiamo. Sembra tutto così poco eccitante a pensarci. Dove volevo andare a parare mettendomi a scrivere queste cose?
Sarà un lungo viaggio. Diciamo che per ora, dopo la sveglia di stamattina alle 6, non avendo comunque dormito niente, maledetta tensione che non mi abbandonerà mai (dovrei renderla una virtù?), mi sento stanco morto. E continuo a rimanere seduto, nonostante io sappia perfettamente che passerò così le prossime più di 24 ore. Sarà il caso di alzarsi? Faccio un giro. Forse vado a spendere quei 19 euro. Ma no, non lo farò. Sostanzialmente ci potrei comprare un Brunello di Montalcino. Ma gli indiani non lo bevono. Non Ram.
Se finissi così sembrerebbe che tutti gli scritti da qui in avanti debbano parlare di Ram. Ma non è così. Lui è solo uno. Ci sono anche tanti altri. Comunque Ram se ci penso bene è strano. Ha un negozione, in centrissimo a Jodhpur. E per lui la vita è ona e issima. Anche se resta sempre lì. Mai visto in una foto fuori da Jodhpur. Probabilmente sta bene così. Ho fame.
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Lufthansa. Una delle cose che mi piacciono di più di questi voli piccoli (siamo settantasette sull’aereo, l’ho sentito prima all’imbarco) è il fatto che il tra la prima e la seconda classe ci sia soltanto un piccolo separee al di sopra delle poltrone di limite.
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Situazione attuale. Secondo volo della giornata. Sono partito da casa alle 7.10 di stamattina. Sono le 16.25 e avrei dovuto iniziare a lavorare. Invece, nel mio viaggio verso un altro continente, quello asiatico, mi sono sparato:
che non eravamo neanche decollati, “Animali Fantastici e dove trovarli” tipo della serie di Harry Potter;
3 bicchieri di vino rosso + uno nel volo da Firenze a Francoforte;
il pranzo. Non indifferente il fatto che sia riuscito, nonostante la prima giornata (e qui mi sottovaluto) di english foravah, a chiedere il chicken e non il piatto veg. Considerazione sui cibi lufthansa: meglio di Emirates e Quatar. Non c’è paragone. Anche la panna cotta. E poi, una volta già portati i pasti di tutti, ecco che un personaggio, che da quando ti si presenta così non puoi far altro che amarlo, passa andando indietro, con un’andatura anche un po’ incerta, come fosse anche lui già un po’ brillo, con due bottiglie di vino in mano, una di rosso e una di bianco. Versa, mesce e riempie.
Accanto a me è seduta una ragazza. Un paio di posti più in là. Mentre mi faccio versare (sono passati loro anche stavolta, e Lufthansa sta salendo nell’alto dei cieli… ah no. Ci siamo già) un bicchiere di Cognac dopo il caffè, la osservo. Dorme. Deve essere di buona famiglia. Mi spiego meglio: è una ragazza indiana, con accento indiano impercettibile (particolare capito durante la mia sfida con il “chicken”), di ritorno da sola da Francoforte. Spero faccia qualcosa di artistico. La guardo. Mi fermo un istante. Direi poco o nulla se accennassi al fatto che i suoi capelli sono neri neri. Lo sono quelli di tutte le indiane. Soltanto gli uomini hanno il vezzo di tingersi in rosso con l’henna. Ok, in realtà negli scorsi viaggi ho visto anche qualche donna, ma di casta bassa. Mi torna in mente un ragionamento straordinario del mio professore: parlava della situazione della donna in india e si era cimentato in un’arguta riflessione sul colore in india:
- Ciò che non posseggono le persone povere al di fuori lo hanno dentro. E cercano di mostrarlo al mondo. La libertà attraverso il colore.
E la mia professoressa indiana, la mia “nonna” indiana, visto che dopo tanti anni era come una parente per me, avrebbe risposto:
- Non c’è bisogno che lo studi il nostro colore. Noi siamo persone colorate. Perché studiarlo. Il colore lo abbiamo. Ci sono da studiare cose ben più importanti.
Insomma, la mia mente vaga tra discorsi immaginari che si dislocano in riferimenti temporali diversi. Sarà il cognac. Mi guardo intorno e, come ogni viaggio che ho fatto da una città europea verso Delhi (sarà che scelgo voli sfigati, oppure che non gliene frega nulla a nessuno di andare a Delhi), l’aereo è vuoto. Ricordo quando con la family siamo andati a New York. Quello sì che era un volo pieno. Neanche un posto libero. 2003 mi pare. Comunque dopo “le torri gemelle” (ormai detto sia l’attentato, che alle volte tutto il 2001). Dicevo che mi sto guardando intorno e succede sempre cose che non vedo mai nei “nostri” voli: persone scalze, persone sdraiate sui sedili, persone che, anche con un bambino che urla nelle orecchie comunque dormono. Ma soprattutto vedo persone, vecchi, adulti, giovani e bambini, che quando mi passano vicino (io un minimo brillo per i 3 bicchieri di vino e il cognac numero due) al mio sorriso rispondono e mi guardano con gioia.
Guarda che non è scontato per niente.
Ancora 4 ore di volo. Ne sono passate già 3. Cioè, un’ora e mezzo ho visto un film, ma nell’altra ora e mezzo? Sarà che mi affascina tutto ciò. Molto. E comunque, nonostante quello che abbia sentito da tanti e da sempre dire in giro, secondo me gli indiani non puzzano. Tutti parlano di questo puzzo, menzionando gli indiani. Ecco, secondo me non è così. Forse per loro noi non abbiamo carattere e uno dei fattori sta nel fatto che non odoriamo. È per quello che mangiano. Anche Irene quando venne in India, o quando sono tornato io un’altra volta, mi disse: non hai più lo stesso odore.
Ok, potrei prenderla come un’offesa. Invece dopo qualche giorno l’odore “mio” torna. Ci credo. Prova a mangiare curry, naan, masala per un mese e vediamo se (non ti caghi addosso e) non ti cambia odore. Poi, tornando alla burratina di Cannavacciuolo nazionale, oppure al salame toscano, posso ben capire che riacquisti quell’odore “dei paesi tuoi”. E sarà il cognac e il vino, sarà l’odore degli indiani ma il prossimo discorso è un trip che pochi (solo il 7% della popolazione come dicono gli stramaledetti test di matematica online) riusciranno a capire:
Ho detto Cannavacciuolo. Per i lettori odierni vorrei spiegare che Cannavacciuolo, ai tempi nei quali scrissi fu uno chef che non avevo ancora conosciuto personalmente, ma che faceva un programma alla televisione sulla 8.
La televisione era una scatola che si accendeva in famiglia per aggiornare le menti sullo stato delle cose nel mondo. Era solito avere la T. in famiglia, persino mio padre, ricordo che la sera prima di partire, quando eravamo soltanto io e lui in casa, mi disse, Accendi che vediamo cosa è successo nel mondo.
La famiglia è un concetto…
E così via dicendo. Per alcuni non sarà chiaro e sarò, come in passato, come in presente, accusato di scrivere di merda, ma chi se ne frega. Ad un certo punto, a 28 anni, come scrivi scrivi. Io ne ho addirittura 29, quindi sono più che legittimato.
Penso a mamma e dico “ciò che ti cambia è ciò che leggi”. Non che lei l’abbia mai detto. Ma probabilmente sarebbe fiera di questo.
Meno male torno tra parecchio tempo. Avrà modo di digerirla.

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