domenica 23 dicembre 2018

Pensieri in (sulla) manovra. Ma noi? Fermi.


Costretto a letto per il brutto malanno al quale purtroppo sono andato in contro, ieri ho assistito, grazie ai fenomenali mezzi tecnologici, alla seduta del Senato che è durata fino a tarda notte e durante la quale si è "discussa" la manovra. Punto primo: non ero mai stato presente, se non per quei piccoli momenti trasmessi durante i notiziari, ad una seduta in modo da annusarne profondamente le modalità. Riconosco che sia strabiliante e inclusivo avere un canale in cui riprendono e condividono il tutto. D’altra parte forse avrei preferito non vederla. 
Non facendo di tutta l’erba un fascio, anche se di fasci ce n’erano da fare e anche visibilmente già fatti lì dentro, nel Senato non ci si ascolta. Il testo della manovra arriva tardissimo, con ressa di senatori della opposizione davanti alle porte delle sale dove il governo riunito metteva i punti sulle “i” al testo stesso, con conseguente impossibilità di prendere in esame tutto il testo con la dovuta attenzione.

Quello che voglio dire è che i senatori, nonostante siano persone alle volte estremamente capaci, non avevano il tempo di leggere la manovra sulla quale il governo ha anche posto il voto di fiducia e quindi bloccato il voto positivo. Era quindi necessario che tutti votassero per l’approvazione (si immaginino gli improperi, offese e agitazioni che non riporterò, fino ad arrivare a palpate considerevoli a senatrici non consenzienti), per non far cadere il governo. Imbarazzante. In sostanza le opposizioni sono state costrette dalla maggioranza a votare una legge, quella di bilancio, con la quale si decide del destino economico del paese, con delle norme che ne regolano l’andamento anche fino al 2030 e oltre, a scatola chiusa. 

È stato un obbligo votare a favore, senza aver avuto la possibilità in termini di tempo, di leggere le 195 pagine della manovra finanziaria. 

C’è necessità “obbligo”, quando si parla di decisione di altri sul nostro futuro, non sia una parola contemplata, perché si passa da decisioni sulla cosa pubblica a carico di pochi.
Mi sbaglierò, lo spero, ma si chiama oligarchia. Recita la traccani: 
“Il dittatore non poteva durare in carica oltre sei mesi; aveva 24 littori, era nominato su richiesta del senato dai consoli.“
Oggi i ministri sono 18, meno di 24.
E noi stiamo qua. Incapaci di far altro che porre un like o concepire una frase (non troppo oppositiva, mi raccomando) di 140 caratteri.

(Pietro)