sabato 24 ottobre 2015

Il Garage Er-México: Elisabetta Mattioli

Chikan volse lo sguardo verso le nuvole, puntò l’enorme disco solare, posto in alto, ed immerso nel cielo azzurro. Per un attimo gli occhi ne furono abbagliati, lui credette di rimanere cieco. Quella terribile sensazione, lo invase completamente e fu attanagliato dalla paura. Improvvisamente sentì immobilizzarsi gli arti, pensò che non sarebbe stato più capace di muovere un muscolo. Non gli piacque l’assurda situazione, così decise di porvi subito rimedio. L’istante successivo gli passò per la mente un pensiero, che non aveva considerato…
Chikan si ricordò di essere passato a migliore vita, centonovantanove anni prima di quel giorno. All’epoca era poco più di un bambino. Il mese precedente era stato al tempio assieme ai suoi genitori, ed aveva superato il rito “del Dio Serpente”, che sanciva la fine dell’infanzia ed apriva la porta, verso l’adolescenza. Il gran sacerdote, gli rese omaggio, appoggiandogli sul capo, la corona fatta con le ossa di giaguaro, a dimostrazione del passaggio all’età successiva. Al calare del sole, fu organizzata la festa in suo onore, come da tradizione millenaria, dovette bere il sangue fresco di un’iguana maschio. Il tutto sotto lo sguardo fiero del padre e le lacrime di gioia della madre, orgogliosa per avere generato un figlio tanto coraggioso. Al termine della serata, andò a dormire, con lo sguardo rivolto verso il brillante futuro, che sfortunatamente non avvenne. Difatti il mese seguente a quegli avvenimenti un’ epidemia, lo portò via dall’affetto dei suoi cari. Il giorno del funerale, la madre pianse disperata, per la perdita dell’amato primogenito, nulla servirono le prove d’affetto del marito, unite a quelle degli altri due figli. La donna, seguì il giovane maya nella tomba, in una giornata di primavera dell’anno dopo. Chikan si ricordò di essere un fantasma, quindi non poteva percepire nulla, i raggi solari e nessuna intemperia, potevano scalfirlo, perché il corpo era un ammasso di aria, o qualche cosa di simile, non ben indentificato. Fu invaso da una profonda tristezza. Dopo la sua morte, aveva assistito alla vita del resto della famiglia, quindi al passaggio dell’età adulta da parte del fratellino minore, al matrimonio felice della sorella ed alla dipartita in tarda età del padre. Loro avevano raggiunto il cielo all’ora prevista dal fato, però non gli era stato concesso di incontrarlo, a causa della madre. Purtroppo il suicidio era considerato un vero abominio, da parte degli Dei e la punizione consistette nell’impedirgli di incontrare i suoi cari, al momento del trapasso.
I secoli erano trascorsi in quel modo, il mancato guerriero maya, sperava in un cambiamento, oltra alla fine della punizione…
Un giorno si trovava in cima a una piramide, aveva l’aria abbattuta come al solito, teneva le mani conserte, l’unico desiderio sarebbe stato di piangere (ma non poteva farlo). Mentre era avvolto dai cuoi pensieri, il cielo mutò la tinta, diventando rosso sangue, l’aria fu squarciata da una voce tuonante e l’istante dopo, il corpo enorme di un uomo, dalla testa di serpente, apparve in tutta la sua imponenza. Chikan non si spaventò (rimaneva un guerriero maya mancato, se pur morto in giovane età). Al contrario volò fino alla strana figura apparsa improvvisamente, gli chiese il nome, se voleva conferire con lui. L’essere parlò, disse di chiamarsi “Kochin il Dio Serpente”, di essere giunto solo per comunicargli, che da lì a poco tempo, la maledizione sarebbe cessata, se avesse portato a termine una importantissima missione.
Quale sarebbe questa fantomatica missione? Chiese il prode Chikan!
Kochin il Dio serpente, disse al fantasma maya, che negli ultimi anni, le scorribande del crudele capitano Juan Carlos della Chacesa, avevano provocato morti e disperazione, in tutta la popolazione. Ormai la situazione era divenuta insopportabile, bisognava porvi rimedio. Il suo compito consisteva nello sconfiggere l’avversario. Per farlo, ogni mezzo sarebbe stato valido. A missione compiuta, avrebbe potuto incontrare i suoi cari, restando assieme a loro, per l’eternità. Chikan accettò la proposta del Dio serpente, promettendogli una schiacciante vittoria a breve termine. Kochin fu compiaciuto e se ne andò via, lasciando il fantasma immerso nei pensieri, su come sconfiggere il nemico. La prima mossa, fu quella di raggiungere l’accampamento del nemico. Era notte fonda, l’unica luce proveniva dalla luna. Notò che si trattava di un esercito numeroso, composto da molti soldati, armati fino ai denti. Lui era inattaccabile (non poteva morire una seconda volta), però sarebbe stato impossibile, sconfiggerli tutti assieme, poiché le forze messe in campo, superavano di gran lunga le sue aspettative, per una frazione di secondo, fu colto dallo sconforto e decise che si sarebbe ritirato dalla battaglia.
Chikan tornò verso la piramide maya, con lo spirito combattivo fra le gambe, fino a quando si ricordò, di come era stato coraggioso, nell’affrontare le prove del gran sacerdote, oltre allo sguardo orgoglioso di suo padre….Il frammento della sua vita passata, l’aiutò a prendere il coraggio necessario ad affrontare il terribile nemico.
La notte seguente, il “mancato guerriero maya”, si recò di nascosto all’accampamento nemico. Osservò tutti i movimenti dei soldati, di come riponevano le armi negli alloggi, della maniera con cui, ordinavano alle schiave di preparare la cena ed infine si disgustò, quando si rese conto della loro effettiva crudeltà. Non provavano pietà per nessuno e sferzarono un povero anziano, solamente perché aveva portato al capitano Juan Carlos della Chacesa, un quantitativo di pannocchie, inferiori alla media giornaliera. Il pover’ uomo, fu trattato in maniera ignobile, ed ancora sanguinante venne soccorso, da una ragazza e portato fino alla tenda degli schiavi, per essere curato alla meno peggio…Chikan decise di scrivere per sempre la parola “fine”, a quelle atrocità, ad ogni costo. Il prode fantasma, mise senza essere visto (non era difficile), una polvere allucinogena, sopra alla carne arrostita. I soldati mangiarono gli animali, con molta ingordigia, anche grazie alla sostanza, che rese il cibo più saporito. Al termine del pasto, ognuno di loro, iniziò a provare uno strano stordimento. Si guardarono negli occhi, senza riconoscersi. Corsero nelle tende, presero le armi, ed iniziarono ad uccidersi uno ad uno, senza la minima pietà. Al termine della notte, erano morti tutti. L’ultimo sopravvissuto fu il capitano, che si rese conto della carneficina e di essere stato vittima di un terribile incantesimo, assieme al suo esercito, dalla vergogna si suicidò con la spada. Chikan aveva portato a termine la missione, però capì di essersi comportato come il nemico, la reazione di Kochin, non tardò ad arrivare. Il Dio serpente punì il fantasma, non gli fu concesso di riunirsi per sempre agli spiriti dei suoi cari, ma avendo sconfitto l’avversario (se pur in modo crudele), gli concesse di vedere i famigliari, per pochissimi minuti, una volta al giorno. Il “mancato guerriero maya”, ringraziò la generosità di Chikan e non si ribellò al suo volere…(avrebbe peggiorato la situazione).
Ora voi sapete, perché si vede l’immagine di un serpente, al calare del sole nella piana di Chichenitza nello Yucatan.

Elisabbetta Mattioli

Nessun commento:

Posta un commento