mercoledì 7 giugno 2017

Il Garage Indiano_13 Un volo


Che concezione dello spazio deve avere un uccello? Un’aquila, ad esempio, ma anche un piccione? Forse baserà i suoi spostamenti sulla fatica di muoversi da un punto all’altro, forse non si renderà conto della potenza che c’è nel potersi spostare liberamente. Mi viene in mente il Gabbiano Jonathan Lvingston, di Bach. Nasce da una pretesa da nulla, uno scherzo: far dono ad un gabbiano della voglia umana di superare i propri limiti. Straordinario. Assolutamente liberatorio. Con tutte le sfide che poi è costretto a fronteggiare: sociali fisiche, ma soprattutto con se stesso.

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Sono seduto a bere una birra sul punto più alto del forte: da qua si vede l’intera città blu, la città dei bramini. Forse non tutti sanno che in passato i bramini non avevano una grande funzione produttiva per la città, ma fondamentalmente teologica e religiosa. Durante l’anno, sarà dato dal gran numero di divinità indù esistenti (un ragazzo a cena ieri sera mi ha detto che probabilmente non esiste nessuno che conosca tutta la storia della religione indù) o da qualche altro fattore del quale non sono a conoscenza, comunque gli indiani antichi festeggiavano più di 1000 volte un qualche evento religioso durante l’anno. Sono almeno tre festività al giorno: i bramini erano coloro che si occupavano dei templi e delle festività. Raccoglievano offerte che non erano quasi mai in forma di denaro, ma di altri tipi. Erano i prediletti del maragià, che li aiutava con donazioni perché rappresentavano l’aiuto, la porta, il guardiano terreno attraverso il quale imbonirsi gli dei. Questi sono i bramini, questo erano. Oggi è diventata, o meglio è rimasta, una casta, alcuni assolvono alla funzione di un tempo, ormai altri hanno lasciato da parte l’antica funzione. Ma perché blu? Blu perché era facilmente distinguibile, blu perché così le altre caste, meno pure, potevano riconoscere fin da subito una casa di un bramino e non toccarla, per non renderla impura come erano loro. Come ogni tradizione, come dice mio fratello, c’è sempre un fondo di mera necessità storica. Il blu, anche se non ho mai capito il perché, rende l’ambiente interno più fresco. E, sarà per suggestione, ma quando mi trovo nel Brahampuri, quella è la sensazione che sento: freschezza.

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È calato il sole, avevo iniziato questo discorso cercando di tratteggiare un minimo i miei pensieri sulle aquile che viaggiano intorno al forte in questo momento. La situazione adesso è diversa, cani ululano in lontananza, in direzione del deserto. Sotto di me il ristorante dove vado a mangiare tutte le sere, quello del forte, ha acceso le luci e pian piano la città blu che vedo, da quassù, sta prendendo vita: dei viottoli minuscoli che nascono dall’intersezione di una composizione organica del tutto incontrollata si stanno animando della frescura notturna. Non ho mai vissuto questa città, per ora sono sempre stato qua dentro la sera. Il desiderio di uscire è forte, ma fa anche un po’ paura: ogni volta che ci si affaccia verso una nuova esperienza, come potrebbe essere stasera andare in mezzo alla città dei bramini di notte, nasconde un milione di incertezze. Resta al singolo la scelta di gettarsi, un po’ quel tuffo di cui parlavo qualche giorno fa, oppure restare nel custodito. Chiuso tra le mura del forte dove non c’è niente da temere. Niente è detto, la scelta è soltanto qui e adesso, domani però, è sempre da ricordare, potrebbe esser stata un’occasione persa.

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