venerdì 6 luglio 2012

Luglio (sugli intellettuali nel caldo)

Fingersi e setirsi in qualche modo (superbo) intellettualoidi nel pesare il linguaggio, ha come fine unico -travisato- di boriarsi. Travisato quando in realtá il fine più probabile è la ex-posizione o la trans-missione (trova la parola come termine medio) di un concetto. La rete del discorso diventa gomitolo informe e la fatica non vale più l'oggetto cogitato. La probabile dis-abitudine (un tempo si sbagliava chiamandola tale, è una continua scoperta) alla lettura porta sempre più alla lettera, dove tanti credono di trovare una giustificazuone alla mancanza di concetto. Lo strumento di una volta diventa, nell'esercizio di stile -quello borioso, s'intende- oggetto di se stesso. La mente non deve mai perdere la luciditá dell'obiettivo e una accurata regolazione dell'obbiettivo (stavolta strumento) analitico dell'oggetto. La parola, l'atto, nella previsione del suo compimento, deve purificarsi da questo appesantimento che, tende infine a svuotarsi di parole/azioni e riempirsi di parlato/gesticolante.  Il più delle volte non si riesce a trovare giustificazione nella perdita -alla fine anche- di se stessi nell'abbandono a questa tentazione. Il continuo pesarsi delle parole -ma ancor più delle azioni- ci slega dal naturale e non diventa che, spesso inutile perchè vana, comparazione del nostro, allo strumento altrui. Si ritrova quindi una palese mancanza di questa imitazione come esercizio pregiato, che diviene illusiva beltà, soltanto per se stessi: lo strumento è naturalmente diverso in base all'utente utilizzante, per forza, intensitá, leggerezza applicati; ed è chiaro che nella naturalezza stessa dell singolo si ritrova l'utilizzo (pratico), di conseguenza la metafisica del fare, che, più oscura, profonda, affascinante, intimamente erotica, si trova più difficile accettare.


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