Parlare del tempo. Quel tempo così variabile.
Quel tempo che non ti passa mai. E quel tempo che invece,
così dolce, non hai neanche sentito passare. L’adesso, in questo preciso
momento, seduto su questa sedia, quanto tempo ci passo? Non me ne rendo neanche
conto. E il tempo passato, che ritrovi in vecchie fotografie, per caso
ripescate nei cassetti di quel mobile, vecchio, che riapri per caso, una vota
ogni tanto. Il tempo passato degli affetti che hai perso. Di quei momenti su
quella spiaggia che non esiste più, che forse non è mai esistita, se non nella
tua memoria. Su un pianeta che forse non esisterà mai più. Quegli sguardi
leggeri, del tuo amico, che suona la chitarra, ricordi che gli insegnasti te le
prime note, soltanto tre note.
E vorresti riuscire, con questo passato, a dare uno sguardo certo
al futuro. Ma sai che sono colpi allo stomaco quelli del futuro. Un’incertezza
che rende tutti timorosi. Imperscrutabile ed incerto non si riesce a capire mai
dove orientare il proprio pensiero, quando si guarda al futuro. Sarà come
spero? Il futuro è come quello stile di musica che non riesci ad ascoltare. Non
perché non ti piaccia, ma perché non capisci come ascoltarlo. Come faccio ad
interpretarlo? Ti chiedi. E dopo un’istante lo capisci... per un istante. Tornando
subito ad essere l’imperscrutabile. Futuro.
Non sai dove andrà e ti rendi conto, in realtà, che non sai
dove sia anche adesso.
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