Eccola, è ufficialmente arrivata... non pensavo sarebbe
arrivata così d'improvviso, senza modo di capire neanche un attimo prima. La tristezza,
la voglia di piangere. È bastato un nonnulla. Una telefonata, sentire una
persona cara a rendersi conto che l'ultima volta che l'hai vista era la volta
in cui l'hai salutata per due mesi. Te ne rendi conto soltanto quando la senti a telefono e capisci che non la rivedrai per tanto tempo.
Every teardrop is a
waterfall dei Coldplay sembrava fosse chiamata alla presenza proprio nel
momento in cui ho riattaccato il telefono. Lasciare le persone che sono più
vicine non è facile. Chiaramente parti per poi tornare. Ma così lontano, per
così tanto tempo non sei mai stato. Che si spezza la voce nel dire "un
bacione, tanto ci sentiamo presto".
Poi pensi che è un mondo incredibile: chi se lo sarebbe
immaginato l'anno scorso che saresti dovuto partire per due mesi andando in
India.
India dove tua mamma sogna da anni di andare e sei arrivato
ad immaginartela quasi in modo tangibile, col dispiacere di non poterci portare
anche lei, con il timore di portarle a casa una delusione?
India dove chiunque sia stato che tu abbia incontrato ti dice
come prima cosa "attento".
India tanto immaginata e mai realmente compresa.
Forse
perché non c'è modo di capirla se non ci vivi. Ho voglia di capirla. Non è che
io abbia paura a vivere là: come dice la nonna di Alessandra "se vivono in
1 miliardo penso che non faccia differenza uno in più o uno in meno". Ecco,
il pensiero di partire, quello mi terrorizza. È chiaro che comunque anche qui i
miei amici, la mia famiglia, sicuramente vivono anche senza di me (probabilmente qualcuno si leva un peso!). Ma in me la paura rimane.
Probabilmente
più che paura è angoscia. La paura è istantanea, momentanea, si
risolve in un attimo: hai paura di un qualcosa, anche se non sai che cos'è hai
paura perché altri ti hanno detto che devi aver paura. Meglio aver
paura che essere angosciati. Si è angosciati quando non ci si rende
conto neanche se si deve temere qualcosa: è un po' un salto nell'ignoto. Non è
paura quella del giocatore d'azzardo. È angoscia perché non conosce il numero
in uscita. La paura nella sua mente è limitata, in qualche modo calcolata nel
numero delle fiches che egli ha puntato sul rosso, sul nero.
Quella la perdita massima. L'angoscia sta
nella vincita, nella speranza della vincita, nell'ossessione della vincita.
Probabilmente dovrebbe pensare che non
ha niente da perdere, ma non è così. O forse sì? Mi posso permettere quello che
sto puntando?
Bello spunto di riflessione.
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